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L'otite catarrale cronica nei bambini

L'otite catarrale cronica nei bambini

L’otite è un’infiammazione a livello auricolare che, a seconda della parte dell’orecchio colpita, si distingue in:

  • Otite interna;
  • Otite media;
  • Otite esterna;
  • Mitingite;

La forma più comune di otite nei bambini è sicuramente quella media, che può essere acuta o cronica.

Per saperne di più su questa patologia, abbiamo intervistato il Dott. Roma, dirigente medico del Reparto Otorinolaringoiatra dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e specialista in otorinolaringoiatria del Poliambulatorio Pediatrico Belvedere.

I. Dott. Roma è davvero così frequente, così come si dice, l’otite media nei bambini?

R. Da un punto di vista epidemiologico circa l’80% dei bambini ha avuto un episodio di otite media prima dei 10 anni. Nel 5% dei bambini di età compresa tra 2-4 anni è presente una ipoacusia dovuta ad un’otite dell’orecchio medio della durata di 3 mesi o più. Quindi riassumendo sì, i dati confermano questa tendenza.

I. Da cosa è caratterizzata questa tipologia di otite prettamente “pediatrica”?

R. L’otite media catarrale è una patologia che deriva dall’infiammazione dell’orecchio medio e si caratterizza per un versamento mucoso o sieroso, come detto può essere acuta o cronica.

I. Quali sono i sintomi più comuni dell’otite media catarrale?

R. Quelli principali sono l’ipoacusia (un sostanziale indebolimento dell’apparato uditivo) e la sensazione di pienezza auricolare che però solitamente non provoca nessun episodio di otalgia o febbre, cosa che rende la patologia subdola e di difficile diagnosi.

I. Esistono dei fattori generali che predispongono a questa patologia?

R. Certamente i Fattori predisponenti possono essere diversi:

– la genetica;
– il mancato allattamento al seno;
– le allergie;
– i deficit immunitari;
– le infezioni ricorrenti;
– le precarie condizioni igienico-sanitarie;
– l’esposizione al fumo passivo;
– le alterazioni a carico dell’orifizio della Tuba uditiva, come accade nella Sindrome di Down o nelle palatoschisi.

I. Quali sono le conseguenze di questa patologia in età pediatrica?

R. Le otiti medie croniche, in particolare nella fascia di età 0-3 anni, possono essere responsabili diversi problemi che attengono anche alla sfera sociale del bambino e che possono anche minare il suo sviluppo cognitivo, in particolare:

1) ritardo nell’acquisizione del linguaggio verbale;
2) presenza di difetti di pronuncia (c.d. dislalie);
3) assenza o scorretta articolazione di alcuni fonemi;
4) mancata o non corretta comprensione dei messaggi verbali;
5) Nei bambini più grandi (dai 5-6 anni in su) si possono verificare disturbi dell’apprendimento scolastico;
6) In assenza di diagnosi, gli insuccessi scolastici potrebbero creare dei contraccolpi psicologici importanti anche sull’autostima del bambino

I. Quali sono le terapie per curare l’otite media?

R. La terapia può essere medica, riabilitativa o chirurgica, a seconda del quadro clinico e obiettivo, dell’entità dell’ipoacusia e del rischio di ritardo di sviluppo.

1) La terapia medica si basa sull’utilizzo di steroidi orali, topici intranasali, mucolitici, può essere di aiuto anche la terapia termale con acque sulfuree o salsobromoiodiche che hanno proprietà antisettiche, immunostimolanti, antinfiammatorie, batteriostatiche e antimicotiche.

2) La terapia riabilitativa è volta a ripristinare la normale funzione della muscolatura tubarica e peritubarica con una rieducazione tubarica, un tipo di trattamento logopedico, funzionale non invasivo, basato su esercizi che permettono i processi fisiologici di apertura e chiusura della tuba uditiva.

3) La terapia chirurgica, invece, viene programmata dopo valutazione clinica e strumentale e viene consigliata in presenza di deficit uditivo, di sintomi vestibolari, di alterazioni strutturali dell’orecchio medio e di fattori di rischio per un ritardo dello sviluppo.

I. Quando è previsto il trattamento chirurgico per curare l’otite media?

R. Quando la terapia medica e riabilitativa non hanno successo entro 3-4 mesi dalla diagnosi, si passa al trattamento chirurgico.

I. Come avviene il trattamento chirurgico?

R. Esistono diversi tipi di interventi chirurgici:

la miringocentesi; Questo intervento ha il fine di consentire la fuoriuscita del muco che si è accumulato nella cassa timpanica con il ripristino della funzione udutiva. Consiste nel praticare una incisione sulla membrana timpanica per consentire l’aspirazione dell’essudato endo-timpanico e lavaggi mucolitici. Tale incisione va incontro a guarigione spontanea in 24-48 ore.

– il posizionamento di un drenaggio transtimpanico; è fortemente raccomandato nei casi di bambini con perdita uditiva maggiore ai 40dB HL, nei bambini con otite media cronica persistente e nei bambini con alterazioni della funzione vestibolare o alterazioni strutturali dell’orecchio medio. Questo intervento prevede il posizionamento di un piccolo tubicino di ventilazione nella membrana timpanica che verrà spontaneamente espulso, con riparazione spontanea della membrana timpanica. Questo intervento, invece, permette di drenaggio delle secrezioni presenti nella cassa del timpano per un periodo più prolungato.

l’adenoidectomia: in caso di ipertrofia adenoidea ostruente l’orifizio tubarico si associa l’adenoidectomia al drenaggio transtimpanico. La risoluzione dell’otite media cronica è importante al fine di evitare la stabilizzazione di una ipoacusia, che può essere responsabile dei problemi che abbiamo già indicato.

I. Ringraziamo il Dott. Roma per la sua disponibilità.

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6 consigli per prevenire le allergie nel bambino

6 consigli per prevenire le allergie nel bambino

Le allergie nei bambini possono avere origini diverse e in alcuni casi può esserci una predisposizione genetica (se la mamma o il papà sono soggetti allergici).

In quel caso deve essere effettuata una diagnosi da uno specialista allergologo che dopo aver effettuato test e analisi, conferma o meno la diagnosi iniziale e prescrive la terapia più idonea.

Capita talvolta che i bambini manifestino delle reazioni allergiche anche in presenza di genitori non allergici.

Da cosa può dipendere e soprattutto, si può evitare l’insorgenza di queste allergie nei piccoli?

Ecco 6 consigli utili a prevenire le allergie nel bambino

  1. evita di esporre il bambino al fumo; è dimostrato infatti che l’esposizione al fumo di sigaretta in età pediatrica compromette le risposte del sistema immunitario del piccolo e aumenta la sua permeabilità agli allergeni, inquinanti e agenti infettanti;
  2. segui una Dieta Sana e Varia; la più completa è sicuramente quella Mediterranea;
  3. allatta al seno; il latte materno è, come sostiene anche l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) il nutrimento perfetto e più adeguato per il bimbo nei suoi primi sei mesi di vita e può essere un prezioso alleato, nella prevenzione delle allergie. L’apparato gastrointestinale è protetto e i cibi più allergizzanti possono essere tollerati meglio se con l’introduzione dei cibi solidi, si continua ad offrire il seno al bambino;
  4. assumi probiotici; l’assunzione di questi micro-organismi benefici sia da parte della mamma che del bambino può essere utile come forma di prevenzione dalle patologie allergiche;
  5. durante l’allattamento fai il pieno di OMEGA-3; la Mamma adottando un’alimentazione ricca di “pesce azzurro” e frutta secca come semi di lino, di zucca, di chia e di girasole può aiutare anche il bambino;
  6. Introduci l’uovo solo a 6 mesi del bambino, all’inizio del divezzamento e alimenti a base di arachidi poco prima dell’anno;

Se tuo figlio manifesta dei sintomi come: difficoltà respiratorie, prurito in alcune zone del corpo o agli occhi, naso chiuso o che cola, emicrania, eczema, rivolgiti ad uno Specialista che saprà indicarti la strada migliore.

Se vuoi invece effettuare una cura completa per rafforzare il sistema immunitario del tuo bimbo, prenota la tua visita con il nostro specialista in Immunologia e Allergologia del Poliambulatorio Pediatrico Belvedere, Dott. Mennilli.

Clicca sul link seguente https://www.poliambulatoriobelvedere.com/contatti/ e compila i campi con i tuoi dati, un nostro incaricato ti contatterà per rispondere a tutte le tue domande.

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I 7 cibi amici del sistema immunitario dei bambini

I 7 cibi amici del sistema immunitario dei bambini

I Cambi di Stagione e l’inverno possono mettere a dura prova le difese immunitarie dei bambini, soprattutto se frequentano l’asilo nido o la scuola.

Per rafforzare il loro sistema immunitario, occorre mangiare cibi ricchi di vitamine antiossidanti e che siano in grado di riequilibrare l’intestino, organo da cui dipendono le reazioni immunitarie dell’organismo.

Ecco i 7 Cibi che contribuiscono a rafforzare il Sistema Immunitario:

  1. Frutta fresca: mele, arance, kiwi, banane e frutti di bosco sono una miniera di vitamine, a partire dalla C, antiossidante e preziosa per mantenere alte le difese immunitarie.
  2. Frutta secca: mandorle, nocciole, noci contengono tantissimi minerali come selenio, zinco e rame sono importantissimi nei cambi di stagione.
  3. Cioccolato fondente: il cioccolato con almeno il 72% di cacao stimola la produzione di linfociti T, che agiscono contro le infezioni. un toccasana per sentirsi più forti e di buonumore.
  4. Legumi: ceci, fagioli, lenticchie portano benefici all’intestino, aiutando la produzione di anticorpi.
  5. Spezie: curry, zenzero, curcuma e cannella sono potenti antiossidanti aiutano l’organismo a rigenerarsi e ad aumentare le difese immunitarie.
  6. Cereali: grano saraceno, avena, farro e orzo contribuiscono al benessere intestinale e contemporaneamente ad un buon equilibrio delle difese immunitarie.
  7. Pesce: tonno, pesce azzurro (alici, sardine, sgombri), salmone sono ricchi di Omega 3 indispensabili per sostenere il sistema immunitario.

Attenzione questi cibi possono contribuire a prevenire i malanni di stagione ma se tuo figlio presenta i sintomi tipici dell’influenza, rivolgiti al tuo Pediatra che saprà indicarti la strada migliore.

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Il Glaucoma congenito: una patologia seria da cui si può guarire

Il Glaucoma congenito: una patologia seria da cui si può guarire

Fin dai primi mesi della nascita è molto importante per i genitori monitorare lo sviluppo della vista del bambino, in modo da scongiurare e prevenire l’insorgenza di patologie, anche gravi casi alla vista del piccolo.

Una di queste patologie è sicuramente il Glaucoma Congenito, una malattia fortunatamente rara, che se però non curata tempestivamente, può arrecare danni permanenti alla vista e in alcuni casi, portare alla cecità.

I principali segnali della presenza di questa patologia sono:

  • L’ingrandimento del bulbo oculare
  • la cornea opalescente
  • la forte lacrimazione dell’occhio
  • la marcata sensibilità alla luce (fotofobia)

Quando il bambino presenta tutti questi sintomi, la diagnosi é semplice anche per il pediatra di base che potrà, ove necessario, indirizzare i genitori verso centri specialistici ma se ce ne sono solo alcuni, allora può divenire difficile effettuare un’anamnesi precisa.

Per questo è importante sottoporre il bambino ad una visita oculistica, sin dall’ottava settimana di vita, in modo da poter eventualmente intervenire tempestivamente per salvaguardare la salute dei suoi occhi.

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I 5 consigli per preparare tuo figlio alla nascita del fratellino

I 5 consigli per preparare tuo figlio alla nascita del fratellino

Cara mamma, per il primogenito, la nascita del fratellino/sorellina, è quasi sempre un evento traumatico che può mettere a rischio l’equilibrio familiare raggiunto. Anche se apparentemente viene vissuto con gioia e partecipazione dal bambino più grande, è possibile che l’evento susciti in lui un po’ di gelosia.

Preso atto di questo stato d’animo, quello che si può imparare a fare è gestirlo con alcuni piccoli consigli:

  1. Prepara il bambino all’evento: è importante parlare con lui prima, senza metterlo davanti al fatto compiuto, spiegando che anche che ci saranno dei cambiamenti “la mamma e il papà ci saranno sempre per lui e che gli vogliono bene”;

  2. Coinvolgilo nelle cose che riguardano il fratellino: ad es. la scelta di colori per i vestitini oppure fallo partecipare alla preparazione del bagnetto del piccolo, in modo da fargli sentire di avere un ruolo importante anche nella vita del fratellino;

  3. Evita di far coincidere il parto con altri cambiamenti: sarebbe meglio nei limiti del possibile non fare coincidere più eventi nuovi. L’iscrizione all’asilo oppure modificare l’arredamento della cameretta, sono eventi che possono creare degli scompensi nelle abitudini del bambino. Alcuni genitori, pensano così di riempire la sua giornata mentre invece questo potrebbe farlo sentire messo da parte o sostituito;

  4. Preparalo alla Tua assenza quando sarai in ospedale: spesso si evita di sollevare l’argomento per non creare ansia nel figlio e, se anche è vero può reagire poco bene, è anche vero che è meglio dargli qualche giorno di tempo per elaborare la cosa piuttosto che essere colto di sorpresa, dalla tua assenza;

  5. Fallo venire a trovarti in ospedale: dopo il parto, quando possibile, è una buona idea far venire il bambino a trovarti, anche solo per pochi minuti. In modo che può rendersi conto da solo, che la sua mamma sta bene e nel frattempo può starti un po’ vicino. Per aiutarlo a superare questo temporaneo distacco è molto importante il ruolo del papà e dagli altri parenti;

Per prenotare la tua consulenza con il Dott. Ricci, Psicologo e Psicoterapeuta, in servizio presso l’U.O. di Psicologia Clinica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e specialista del Poliambulatorio Pediatrico Belvedere di Giulianova clicca sul link seguente https://www.poliambulatoriobelvedere.com/contatti/

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Lo strabismo nei bambini: come correggerlo con successo

Lo strabismo nei bambini: come correggerlo con successo

Lo strabismo è un difetto della vista nel quale gli occhi non risultano ben allineati e sono orientati in due direzioni differenti.

Appena nato il bambino può essere soggetto ad una sorta di strabismo “fisiologico” dovuto all’incapacità del neonato di coordinare i movimenti simultanei degli occhi. Questa situazione temporanea è destinata a scomparire con la crescita del bimbo, solitamente intorno ai 6 mesi.

É importante però sapere che in rari casi uno strabismo precoce può essere secondario ad altra patologia dell’occhio, che deve essere esclusa preventivamente con una visita oculistica neonatale comprensiva di esame del fondo oculare.

E se la situazione permane? Cosa si può fare?

L’abbiamo chiesto al Dott. Riccardo Maggi, uno dei massimi esperti in Italia nel settore oftalmologico e responsabile del Centro di Riabilitazione Visiva in Età Pediatrica dell’U.O. di Oculistica dell’Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” e specialista del Poliambulatorio Pediatrico Belvedere di Giulianova:

I. Dott. Maggi come si cura lo strabismo?

M. Innanzitutto, occorre tranquillizzare le mamme e dire che lo strabismo è un difetto che può essere corretto seguendo uno specifico trattamento in due fasi distinte, la prima medica e la seconda chirurgica:
La prima, che consiste nella occlusione dell’occhio buono allo scopo di trasformare lo strabismo di un occhio solo in uno strabismo di ambedue gli occhi, o strabismo alternante, scongiurando così il pericolo della perdita visiva dell’occhio cosiddetto pigro.

Nelle forme accomodative, frequenti nei bambini ipermetropi, lo strabismo è secondario ad un’eccessiva convergenza in risposta allo sforzo accomodativo necessario per ottenere un’immagine distinta.
La correzione dell’ipermetropia con lenti induce un rilasciamento dell’accomodazione consentendo il giusto allineamento dei due occhi.

L’uso di lenti correttive quando richiesta servirà a conoscere l’entità della convergenza non correggibile con il trattamento medico.

I. Lei parla di eccessiva convergenza e sforzo accomodativo, ci può spiegare meglio questi termini?

M. Certamente, la convergenza è la capacità degli occhi di portare entrambi gli assi visivi degli occhi su un punto di fissazione ravvicinato mentre per sforzo accomodativo si intende lo sforzo che si impiega per mettere a fuoco le immagini sulla retina.

I. Perfetto, diceva anche che c’è anche una seconda fase per il trattamento dello strabismo, giusto?

M. Si la seconda fase, si svolge verso i 3 anni, nei bambini nei quali gli occhi non si siano riallineati con le cure descritte e consiste nel correggere chirurgicamente la convergenza residua.

I. C’è un motivo preciso per cui l’intervento deve avvenire a 3 anni?

M. Si, perché dopo i 3 anni l’attesa per un miglioramento spontaneo della convergenza è del tutto illusoria e fuorviante mentre la conquista della visione binoculare o tridimensionale è tanto più possibile e rapida quanto più precocemente si interviene riallineando chirurgicamente i 2 assi visivi.

L’attesa è invece giustificata e doverosa in strabismi ad inizio più tardivo, e dunque a sviluppo completato della capacità visiva, quali lo strabismo accomodativo puro e lo strabismo divergente.

In ambedue questi casi la deviazione strabica non è quasi mai costante, consentendo così comunque lo sviluppo e il mantenimento di una normale visione binoculare accanto alla visione monoculare anomala dello strabismo, la cui definitiva eliminazione può essere quindi differita di qualche anno.

I. Come viene svolto l’intervento?

M. L’intervento per la correzione dello strabismo consiste nello spostare più avanti o più indietro l’inserzione dei muscoli che ruotano l’occhio nelle varie direzioni sull’esterno della parete oculare, in modo da ottenere un rinforzo o un indebolimento della loro azione, analogamente a quanto ottenuto dalle redini nella guida del cavallo.

La scelta di quali muscoli operare e dell’entità dello spostamento dei singoli muscoli richiede una attenta valutazione da parte dell’oculista pediatrico unitamente ad un approfondito studio pre-operatorio della motilità oculare da parte del tecnico ortottista.

I. É un intervento che comporta dei rischi per la vista del bambino?

M. No assolutamente, perché l’intervento, essendo esterno al bulbo oculare, non comporta alcun rischio visivo.

Scopo dell’intervento è quello di ottenere il riallineamento dei 2 assi visivi, fondamentale per riacquistare una visione binoculare contemporanea, unica garanzia per una definitiva guarigione.
In assenza di questo risultato il miglioramento sarà solo estetico e non funzionale.

I. Si ringrazia il Dott. Maggi per la disponibilità.

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Piedi piatti idiopatici: quando diventano un problema 

Piedi piatti idiopatici: quando diventano un problema 

I bambini nascono tutti con i piedi piatti, alla nascita è un fenomeno naturale e fisiologico. Durante la crescita, nella fase in cui il bambino inizia a muovere i primi passi, per evitare di cadere ha bisogno di una base di appoggio più ampia, e pertanto il piede piatto offre un vantaggio importante e non è quindi da considerare patologico. Quando questa conformazione assolutamente naturale può divenire patologica?

Queste è altre domande le abbiamo poste al Dott. Leonardo Oggiano, uno dei massimi esperti e specialisti in Ortopedia e Chirurgia Vertebrale, Dirigente Medico del reparto di Ortopedia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e specialista del Poliambulatorio Pediatrico Belvedere di Giulianova:  

I. Dott. Oggiano, che cosa si intende con il termine “piede piatto”?

O. Nel linguaggio “comune” con il termine piede piatto s’intende una malformazione anatomica caratterizzata da un evidente appianamento, totale o parziale, della volta plantare mediale verso l’interno. Nei bambini di età inferiore ai due anni, l’assenza della volta plantare è dovuta spesso ad una sovrabbondanza del tessuto adiposo della pianta del piede che si ridurrà poi negli anni ed è quindi da considerarsi normale.

Con la crescita, la morfologia delle ossa tarsali si modifica sotto la spinta di fattori genetici e stimoli ambientali, la muscolatura plantare e mediale acquisisce progressivamente un’adeguata funzione, si riducono la lassità legamentosa e la presenza di pannicolo adiposo plantare.

I. Quali sono le cause di questa patologia?

O. Le cause del piede piatto possono essere di differente natura:

Congenita (sinostosi tarsali, sindromi malformative complesse, tendine di Achille corto);
Neuromuscolare (paralisi cerebrali infantili, miopatie, distrofie);
Da lassità articolare, da malattie sistemiche responsabili di iperlassità (Marfan, Ehlers-Danlos);
Post-traumatica (frattura di calcagno, frattura di astragalo); 
Infiammatoria (artrite idiopatica giovanile);
Idiopatica (a causa sconosciuta).

I. Dott. Oggiano, quando è necessaria una visita specialistica per il piede piatto nei bambini?

O. È importante, per i piccoli pazienti, effettuare una prima visita ortopedica di controllo intorno ai 6 anni di età per accertarsi che il bambino appoggi correttamente i piedi durante la deambulazione e verificare che non vi sia la presenza di una vera e propria patologia.

I. Come viene effettuata la diagnosi?

O. La diagnosi di piede piatto, per un occhio esperto, è fondamentalmente clinica; tuttavia gli esami strumentali rappresentano un supporto indispensabile per l’inquadramento diagnostico e per l’orientamento terapeutico (valutazione radiologica standard con esecuzione di radiografie fatte in piedi in anteroposteriore e laterale, valutazione con TAC o Risonanza solo nei casi di sospetta malformazione congenita).

I. Come si corregge il piede piatto?

O. Quando la patologia si protrae e non ha un’evoluzione favorevole spontanea entro gli 8-14 anni e siano presenti elementi funzionali che dimostrano la persistenza di una pronazione patologica in tutte le fasi del passo, quindi a rischio di patologia degenerativa secondaria in età adolescenziale o adulta a quel punto diviene necessario il trattamento chirurgico.

L’intervento chirurgico di scelta nel trattamento del piede piatto idiopatico in età evolutiva è rappresentato dalla procedura di artrorisi della sotto-astragalica, praticata in età compresa tra gli 8 e i 14 anni.

Per artrorisi s’intende un intervento che limita i movimenti di un’articolazione senza provocare un’anchilosi (perdita del movimento) definitiva.

L’intervento si esegue applicando viti correttive, di materiale metallico (titanio o acciaio) che possono essere rimosse dopo un periodo di circa 2 anni, oppure di materiale riassorbibile (acido poli-L-lattico).

L’incisione chirurgica è molto piccola: 2 cm circa. L’azione dell’artrorisi non è puramente meccanica. Infatti, essa non determina soltanto una correzione dei rapporti articolari tra astragalo e calcagno.

L’artrorisi esercita anche una funzione neuromotoria, essendo impiantata in una zona del piede ricca di terminazioni nervose recettive, capaci di attivare i muscoli supinatori.

Nel soggetto in accrescimento, la ricostituzione dei rapporti reciproci fra le ossa determina nel tempo una ristrutturazione ossea e un adattamento delle parti molli con stabilizzazione della correzione anche una volta rimossa o riassorbita la protesi. Occorre dire che la pratica chirurgica è richiesta in casi particolari, non più del 2-5% di tutte le sindromi da eccesso di pronazione o “piattismi” osservabili in età evolutiva.

I. Cosa prevede il decorso post operatorio?

O. Per le prime due settimane il bambino cammina con un tutore e due stampelle senza appoggiare il piede a terra. Dalla terza settimana inizia ad appoggiarlo in modo progressivo, abbandona il tutore e indossa una scarpa da ginnastica. Già dopo 15 giorni si può praticare sport in acqua, la corsa leggera dopo 6 settimane, mentre per gli sport “da contatto” (calcio, basket, pallavolo) la ripresa avviene dopo circa 4 mesi.

I. Il Piede piatto si può curare con trattamenti non chirurgici?

O. Benché apportino sollievo e una riduzione del dolore al piccolo paziente, i trattamenti chinesioterapici (massaggi ed esercizi di ginnastica rieducativa) e ortesici (con apparecchi correttivi) non sono di per sé sufficienti a correggere i piedi piatti costituzionali.

Tali trattamenti, infatti, devono essere considerati solo con finalità palliative, sintomatiche e di compenso in attesa di un eventuale trattamento chirurgico, che rappresenta l’unica terapia eziologica ed efficace, nei casi selezionati che hanno tale indicazione.

Anche l’uso delle calzature “ortopediche” non apporta alcun vantaggio nel trattamento del piede piatto idiopatico.

Si ringrazia il Dott. Oggiano per la disponibilità.

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Diagnosi e trattamento della scoliosi nei bambini

Diagnosi e trattamento della scoliosi nei bambini

La scoliosi è una deformità della colonna vertebrale che si manifesta con una deformazione laterale accompagnata da una rotazione delle vertebre.

Per capirne di più sulla diagnosi e se esistono dei trattamenti per far fronte a questa patologia, abbiamo intervistato uno dei massimi esperti nel campo della chirurgia spinale, il Dott. Leonardo Oggiano, Dirigente Medico e specialista del Poliambulatorio Pediatrico Belvedere.

I. Dott. Oggiano nonostante la sua giovane età lei è uno dei massimi esperti italiani nel settore della chirurgia vertebrale in ambito pediatrico, può spiegare brevemente alle mamme che ci seguono, quali sono i segnali per capire se il proprio figlio o figlia ha la scoliosi?

O. Salve, innanzitutto occorre dire che ci sono tre tipologie di scoliosi:
– quella infantile che insorge tra 1 e 7 anni;
– quella giovanile che si manifesta tra 7 e 10 anni;
– quella dell’adolescenza, tra i 10 e i 15 anni.

La più comune è sicuramente quella adolescenziale, che riguarda più le bambine (tra gli 11 e i 12 anni) rispetto ai bambini (tra i 13 e i 14 anni ) in un rapporto di 4 a 1.
Per quanto riguarda i segnali, bisogna osservare se ad es. una delle due spalle sembra più alta dell’altra o quando gli abiti indossati non cadono dritti. Il ragazzo o la ragazza, può anche riferire un affaticamento alla regione lombare dopo essere stato a lungo seduto o in piedi nella stessa posizione. Se la scoliosi è già avanzata, possono manifestarsi anche dolori alla schiena di origine muscolare nelle aree da sforzo, per esempio, nel tratto lombosacrale.

I. Quali sono le caratteristiche tipiche di una scoliosi?

O. Le caratteristiche di una scoliosi sono quelle di una curvatura laterale, associata a rotazione vertebrale.
È proprio questa rotazione vertebrale a dare il classico segno scoliotico, il “gibbo”, una prominenza della parte scoliotica che può essere dorsale, lombare, oppure dorso-lombare, se siamo di fronte ad una doppia curva.
Di ogni paziente è necessario valutare l’età in cui si sottopone alla prima visita in rapporto alla pubertà, e i segni che emergono dalla prima radiografia.
Per valutare i risultati di questo primo esame diagnostico, si ricorre o al Test di Risser, che consente di stabilire il grado di sviluppo osseo (da 0 a 5) valutando l’ossificazione delle ali iliache, oppure attraverso una radiografia della mano (per rilevare la maturità ossea).

I. Come si tratta questa patologia?

O. Esistono diverse procedure per il trattamento della scoliosi e, ma non è detto che vi si debba ricorrere necessariamente.

– Una di queste è Il “trattamento con corsetto” riguarda scoliosi in età puberale, con segno di Risser quindi inferiore ai 3 gradi, che hanno possibilità di crescere tra i 20 e i 25, fino ai 45 gradi. La scelta del corsetto più adatto si deve basare sul cosiddetto “apice”, ovvero il punto di maggior curvatura della colonna vertebrale.
Generalmente l’utilizzo del corsetto deve essere continuativo nell’arco della giornata, per almeno 20-22 ore al giorno e può essere sostituito da altri nel tempo, in genere, dopo il cosiddetto “adattamento antropometrico”.

– Un’altra pratica correttiva della scoliosi idiopatica adolescenziale, è quella del busto in gesso, che viene ancora utilizzata spesso con buoni risultati.
Questo trattamento risulta essere molto utile in presenza di scoliosi che si presentano con valori molto marcati, tra i 30 e i 40 gradi. In questo caso il trattamento è continuativo, dal momento che, chiaramente, il busto in gesso non è rimuovibile.

I. Per concludere, un consiglio ai genitori?

O. I genitori ma anche la scuola e l’ambiente sportivo hanno un ruolo importante nella prevenzione perché possono segnalare posizioni scorrette o non spontanee del bambino o della ragazza, che possono costituire dei segnali di un atteggiamento posturale scorretto e che vanno approfonditi il più presto possibile con una visita ortopedica.

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